Luogo

Lungomare

A cura di

In collaborazione con:
Studienverlag (Innsbruck, Vienna, Bolzano)

Partecipanti
Forma Urbis

Alessandro Banda

Uno o due anni prima di morire (nel modo che tutti sappiamo) Pier Paolo Pasolini partecipò ad una trasmissione televisiva. Si sa che Pasolini detestava la televisione, eppure, per una di quelle numerose contraddizioni che lo caratterizzavano insopprimibilmente, vi partecipò comunque. La trasmissione in oggetto si chiamava Io e … Di che si trattava? Una personalità eminente della letteratura o della politica o dello spettacolo era chiamata a dichiarare le proprie preferenze in campo artistico, e a segnalare, per la precisione, un’opera che le stava particolarmente a cuore: una tela amata più di altre, o un affresco, o un complesso monumentale. Pasolini, che pure aveva competenze non amatoriali in questo settore, essendo stato allievo di un maestro come Roberto Longhi, scelse non un quadro né una cosiddetta “opera d’arte”, bensì una città: anzi la forma di una città. La forma di Orte, dato che allora, nel 1973 o 1974, quella piccola città nota soprattutto come snodo ferroviario cominciava ad essere minacciata nella sua integrità. Sul piccolo schermo si poteva quindi vedere il poeta che indicava il selciato di un vicoletto di Orte, o un pezzo sbreccato di muro giallastro, sospirando: “anche questo fa parte della forma di Orte, e io vorrei che fosse salvato”.

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Autodialogo su Stalker e "i nomadi"

Francesco Careri
Sui primi incontri mancati

“Nessuno di noi aveva mai avuto prima una relazione diretta e questo percorso è stato un’importante crescita comune. Siamo partiti da zero. Nella prima transurbanza fatta a Roma nel 1995 siamo passati di fronte all’ingresso del campo di Quintiliani e non ci siamo entrati. Era tardo pomeriggio, eravamo stanchi
e cercavamo un posto dove fare l’accampamento per la notte. Ci siamo fermati in un campetto di calcio che degli albanesi avevano allestito per i propri bambini. Mi ricordo che avevamo parlato con un uomo alto bellissimo, con capelli lunghi, occhi azzurri profondi e un’aria da saggio, sembrava Melquiades, quello zingaro dei Cent’anni di solitudine di García Márquez che portava a Macondo le novità del mondo, e che all’inizio del libro aveva stupito il villaggio mostrando il ghiaccio. Melquiades e gli altri albanesi avevano preso un vecchio casale e lo avevano trasformato in una casa per più famiglie, un ambiente accogliente e ospitale. Alla nostra richiesta di dormire nel campetto avevano risposto che erano felici di avere ospiti, che potevamo montare le tende e nessuno ci avrebbe dato fastidio.”

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Racconti urbani al di là del moderno

Carl Fingerhuth

L’epoca del Moderno è stata una spedizione nelle profondità del potenziale mentale dell’uomo. E’ stata un’epoca dominata dall’indagine, dalla comprensione e dalla descrizione del mondo fisico. In particolare, lo spazio ha costituito uno degli ambiti centrali della ricerca tanto nell’astronomia e nella fisica quanto nell’architettura e nell’urbanistica. Nel passaggio dalla struttura mitica alla struttura mentale della coscienza, caratteristica del Moderno, è stata riconosciuta e analizzata la forma tridimensionale dello spazio. Gli artisti hanno creato le viste prospettiche fissando la posizione dell’osservatore e facendo dipendere da questa la posizione del punto di fuga. Gli edifici e le città sono stati costruiti sulla base di progetti la cui la forma ideale è stata generata dal pensiero dell’uomo.

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L'insostenibile esistenza della città

Fotografia ed immaginario collettivo
Francesco Jodice

Il 22 Novembre del 1963 l’imprenditore texano Abraham Zapruder, ebreo-russo nato nella città di Kovel in Ucraina ed emigrato a Brooklyn ancora bambino, filma più o meno accidentalmente con la sua Bell & Howell 8mm l’omicidio di J.F. Kennnedy a Dallas.
Attraverso la suddivisione del breve filmato in singoli frame fotografici, il procuratore distrettuale Garrison farà cadere il castello di menzogne protetto dalla commissione Warren e rivelerà la partecipazione al complotto di servizi segreti, militari e membri del parlamento cambiando per sempre la percezione che gli americani avevano della loro storia.

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Grammatica urbana

Un’intervista con Arno Ritter
di Angelika Burtscher

“Secondo me la città si definisce anche attraverso l’architettura e gli edifici che, fungendo da sfondo e da spazio progettato, rendono possibile la vita urbana. Infatti, un importante elemento che caratterizza la dimensione urbana è lo spazio tra gli edifici – le strade, le piazze e gli spazi pubblici e privati. Quando pensiamo ad una città, non ricordiamo i singoli edifici, ma gli spazi tra di essi (Zwischenräume), la loro atmosfera, che rimanda anche ad altre atmosfere in parte impresse nell’inconscio. Si potrebbe anche parlare di “genius loci”, di aura o di tessuto di una città, pressoché indefinibili, o di una grammatica urbana. Una città, grande o piccola che sia, non può inventare o produrre la dimensione urbana, né tanto meno rappresentarla, in quanto l’urbano è invisibile.”

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Divagazioni

Una conversazione con Joseph Rykwert
di Roberto Gigliotti

“Dal mio punto di vista il turismo è una funzione civile e sociale essenzialmente distruttiva, anche perché il turismo è stagionale e quindi durante la stagione turistica una città si riempie, ma poi si svuota. Si potrebbe dire lo stesso dell’università, durante il semestre ci sono gli studenti. Questo avviene in tutte le città universitarie: Cambridge, Oxford, Cambridge Massachussets, New Haven,
Alcalà o Padova. Ma tutto intorno a un’università si sviluppa una vita che non è stagionale – per esempio tutta l’infrastruttura universitaria e il corpo docente sono insediati in città in maniera permanente. Anche in questo caffè, in questo ristorante nel quale siamo seduti e in quello poco più avanti si fermano gli studenti. Siamo in una zona popolata dagli studenti, c’è passaggio. Però ci sono anche dei lavoratori, e questi hanno orari diversi, cominciano ad arrivare verso mezzogiorno. Ci sono anche i turisti, che arrivano solo molto più tardi. In questo locale c’è un flusso continuo di clienti e questo lo rende vivo. La sera ci sono soprattutto i turisti, ma ci vengono anche i Veneziani.”

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Sogno Città Noi

Ferdinand Schmatz

Opera del caso o del progetto, dei sensi o della ragione: la città, per noi?

In mezzo a me c’è un bosco, si espande, i rami si moltiplicano, spuntano dal mio corpo, si avvitano nell’asfalto, si formano delle crepe e spunta l’erba. Desideravo radicarmi nella città in cui mi recavo, e così mi sciolsi da me stesso e mi avvolsi in lei. Anche il mio capo si aprì mostrando un paesaggio. Si vedevano colli e valli, caverne e nicchie, ma anche file di alberi, viali, allineati con gran precisione. Ne imboccai uno fino a trovarmi, così credevo, in un quartiere di periferia – o non era piuttosto la periferia della ragione? Come avrei fatto a uscirne? Era un groviglio di vicoli e viuzze, lo superai con un balzo e corsi via in linea retta. Volevo andare al centro, al nucleo, ma mi ritrovai sulla soglia della porta della città.

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Le parole non hanno bisogno di pagine
Sinfonie di un paesaggio

Con Boris Sieverts attraverso il sud del Lussemburgo

Andiamo avanti e arriviamo ai binari della ferrovia Lussemburgo – Belgio.
Di fronte a noi si stende un immenso plateau industriale dismesso su cui è stata seminata l’erba. Era la più grande zona industriale della Francia. Negli anni Ottanta Longwy è stata protagonista di importanti lotte operaie. Per chi vi giunge oggi questa superficie offre uno spettacolo stravagante, ma in un certo senso quasi bello. Sul plateau troviamo immense distese verdi e subito accanto zone produttive. Insieme al Lussemburgo e alla regione belga esso costituisce il “Pol european de dévelopment”. A questo proposito si delineano tre diverse strategie per intervenire sui grandi insediamenti industriali: i Francesi li fanno sparire senza traccia, vi seminano sopra un prato e poi passano con il tosaerba. I Belgi li lasciano cadere in disuso, come in questo caso. I Lussemburghesi, che hanno una solida economia, pianificano e convertono le superfici, reagiscono con prontezza e realizzano in fretta i progetti. Loro sono stati in grado di trasformare una società industriale in una società di servizi.

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Napoli Parking

Un’azione di Benjamin Tomasi
a cura di Angelika Burtscher

Gli abitanti di Napoli ricordano spesso con nostalgia il Parco della Rimembranza, originariamente Parco Virgiliano, che fino alla metà degli anni Novanta era aperto per le coppiette in macchina. La piazza, raccontano, era romantica, era una piazza per lo sport, le passeggiate, un luogo per i concerti e allo stesso tempo per l’amore.

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Flyer: Napoli parking
Flyer: Napoli Parking

 

Benjamin Tomasi: Napoli Parking

Il libro in visione

TRAUM STADT WIR su issuu.com
Design: Lupo & Burtscher

Con il sostegno di

Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige, Ripartizioni alla Cultura
Fondazione Cassa di Risparmio
Città di Bolzano, Ufficio Cultura
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